Ha tentato un approccio sessuale e poi ha strangolato la studentessa torinese con la catena di una bicicletta, la mattina del 9 febbraio 1988: ma l’omicida non ha ancora un’identità.
Ha aperto la porta al suo assassino Giorgia Padoan, quella mattina di 35 anni fa, il 9 febbraio 1988, e gli ha anche offerto un caffè. Aveva appena 21 anni, studiava lingue all’università di Torino, ma la sua vita è stata spezzata con violenza da un uomo di cui ancora non si conosce l’identità.
L’omicidio del 9 febbraio 1988
Fu ritrovata senza vita sul divano dell’appartamento in cui viveva con la madre, semisvestita dal pigiama con il quale aveva accolto il suo omicida, e con diversi segni di violenza. Ematomi e graffi sulle gambe, in particolare, che hanno fatto pensare agli inquirenti ad un tentato approccio sessuale dal quale Giorgia Padoan avrebbe cercato di difendersi, e lividi sul collo, che hanno portato alla ricostruzione della violenza fatale, ossia uno strangolamento effettuato con la catena di una bicicletta.
Nel resto della casa, solo qualche gioiello sparito, il gas lasciato aperto, e l’indizio principe: l’impronta di una scarpa da uomo, numero 44, nel caffè versato a terra probabilmente durante il tentativo di violenza carnale. Indizio che però non ha mai portato a stanare il colpevole, di cui ancora i genitori di Giorgia Padoan attendono di scoprire nome e cognome.
Una confessione e un indagato nel caso Giorgia Padoan
Eppure una confessione c’è stata: il padre della vittima, Roberto Padoan, ricevette infatti due telefonate, nelle quali una voce maschile anonima – da lui prontamente registrata e che ora è negli atti – prometteva di costituirsi per l’omicidio compiuto. Tuttavia, anche questo nastro non ha portato a svelare l’identità dell’assassino.
Un’altra speranza si era accesa nel 2013, quando un professore di Torino, ormai cinquantenne, venne individuato dagli investigatori come sospetto: convocato in questura, l’uomo, che pure era anch’egli studente nell’università frequentata da Giorgia Padoan, affermò di non averla mai conosciuta e di essere quel giorno al lavoro.
Forse questo caso è destinato a rimanere un ‘cold case’, un caso irrisolto, ma c’è chi, come il padre di Giorgia, non si dà per vinto: “Non ho mai perduto la speranza”, aveva dichiarato al Corriere della Sera nel 2013.